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Per una rivoluzione sentimentale

Proposta per una militanza incarnata

11/07/2025
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Quando militiamo per cambiare radicalmente i rapporti umani ed economici in cui viviamo, spesso diamo poco peso alle nostre emozioni. Non ci è stato insegnato a tenere conto di quello che sentiamo in modo fisico, diretto, a farcene carico sia singolarmente che collettivamente. Il risultato sono sempre più comuni burn-out e un allontanamento dagli spazi politici. Quante riunioni noiose, quante persone che ci fanno soffrire, quante delusioni e quanto isolamento possiamo sopportare prima di abbandonare non solo lo spazio politico, ma anche la lotta stessa?

Ma ancora più degli spazi emotivamente insostenibili, mi interessa ribadire quanto le emozioni siano fondamentali per potenziare le nostre pratiche rivoluzionarie, per farci diventare migliori sperimentatricɜ di alternative e utopie reali. Le emozioni sono necessarie alla nostra pratica rivoluzionaria. Il campo delle emozioni ci riconnette al nostro corpo e ai linguaggi non verbali che usiamo, ma sopratutto ci fa fare l’esperienza di quei percorsi personali e intimi che sono necessari a qualsiasi cambiamento trasformativo su grande scala.

Autoconsapevolezza emotiva

Un concetto chiave è quindi l’autoconsapevolezza emotiva. In un certo senso è presente anche nelle politiche rivoluzionarie a cui siamo abituatɜ: in ogni posizione tra il marxismo-leninismo e l’anarchismo, troviamo l’idea di una consapevolezza che deve diventare autocontrollo (se non controllo da parte di qualcun altrə)1. Dall’alienazione dal proprio lavoro che deve fare posto alla coscienza di classe, all’odio per il superiore e per i dominanti che deve diventare spinta dissidente, passando dalla paura della repressione che deve essere risolta nell’ardore rivoluzionario, le emozioni sono un primo passo, individuale e irrazionale, che deve essere superato da una lettura razionale e politica. Poco cambia che in alcuni casi questo superamento sia una negazione in toto delle nostre emozioni, tendenzialmente da parte di un’autoproclamata avanguardia, o il loro annullamento dentro un’orizzonte emotivo collettivo.

Per liberare lo spazio di possibilità che le emozioni ci offrono, dobbiamo ripensare radicalmente cosa sono e cosa significa esserne consapevoli. Per farlo, desidero seguire la sociologa Marianella Sclavi nel suo fondamentale Arte di ascoltare e mondi possibili2. Per Sclavi:

l’autoconsapevolezza emozionale ha a che fare col linguaggio del corpo che parla un codice diverso da quello verbale e con gli scenari paradigmatici dell’organizzazione sociale della nostra cultura.

In quest’ottica, le emozioni che proviamo non sono elementi di disturbo o risposte istintuali a una situazione, prive degli strumenti più potenti della ragione e della parola-logos. Sono:

informazioni riguardanti modelli di comportamento più o meno profondamente interiorizzati e inconsci che stiamo attivando perché ritenuti i più adeguati a una percezione largamente inconscia e data per scontata di un ambiente. La [loro] funzione è fornire le informazioni che uno di questi pattern è in atto.

Ad esempio, non è il timore delle conseguenze a precluderci un’azione rivoluzionaria, ma al contrario abbiamo timore delle conseguenze perché non siamo abituatɜ ad agire in senso rivoluzionario3. Non siamo prede di una “falsa coscienza” emotiva che ci impedisce di compiere le azioni che l’analisi politica ci richiederebbe, quanto parte di un assemblaggio discorsivo e materiale, in cui sono incluse le nostre azioni abituali, che si mantiene nel tempo e che percepiamo nel suo insieme come la paura dell’azione dissidente.4

Quello che abbiamo detto fin qui aggiunge poco di pratico, sembra essere, come dice Sclavi, un gioco dell’uovo e della gallina. Ma l’inclusione di un nuovo linguaggio, il linguaggio del corpo, nella nostra prospettiva politica apre un vasto campo d’azione di cui possiamo accennare solo qualche caratteristica, sia per il loro numero quasi infinito sia per il breve percorso che abbiamo fatto fin’ora con questo strumento “nella sporta”.

Una precisazione prima di iniziare: l’approccio di Sclavi non è sentimentalista o antirazionalista più di quanto sia positivista o razionalista. Il punto non è favorire ragione o sentimento, uno a discapito dell’altro, ma rigettare un impianto in cui «le due sfere, quella razionale e quella emotiva sono concepite come separate e antitetiche». Come le dicotomie umano/non-umano o uomo/donna, vogliamo liberarci della differenza stessa inscritta nei nostri corpi e riappropriarci delle loro funzioni.

1. Siamo legittimatɜ a lottare contro i sistemi egemonici anche quando non abbiamo gli strumenti della teoria critica

Le emozioni quali informazioni sui pattern abituali ci danno uno strumento privilegiato di analisi di quello che Foucalt chiama governamentalità, cioè del modo in cui il potere struttura il nostro campo di azione possibile. Le “azioni sulle azioni” dei poteri cui sottostiamo diventano infatti leggibili non solo attraverso la critica, che presuppone un’abilità della parola-logos non alla portata di tuttɜ, ma anche attraverso la rilettura delle nostre emozioni, che sono la percezione di questi sistemi complessi nella nostra esperienza diretta e situata. Quando un sistema di potere agisce su di noi, il più delle volte, lo possiamo percepire e possiamo rivendicare di non volerlo subire, al di là di ogni legittimazione scientifica o teorica5. Potremmo eventualmente recuperare una lunga tradizione psicanalitica e la sua conoscenza della «relativa autonomia della sfera del codice in cui si esprimono» le emozioni, senza ripetere le sue letture individualizzanti e normalizzanti e le sue gerarchie epistemiche, ma con l’obiettivo di trovare nuove forme di resistenza al potere.

2. Possiamo essere buonɜ rivoluzionariɜ (pur) essendo insicurɜ di noi

In modo simile a quanto abbiamo descritto con la dissidentificazione, una visione ancorata alle emozioni ci permette di trovare nuove forme di azione rivoluzionaria, nella misura in cui ci insegna a leggere le condizioni strutturali in cui ci troviamo (leggendo l’emozione che ne risulta) e a cercare possibili vie di uscita. Per farlo, oltre all’obiettivo razionale del desiderio di giustizia ed emancipazione, ci torna utile un linguaggio del (proprio) corpo, quello degli «spiazzamenti, e [dei] sensi di ridicolo e di ansia».

Nel momento in cui proviamo a essere persone diverse, a creare rapporti sociali nuovi o a mettere in pratica qualche tipo di organizzazione, spesso sentiamo di essere fuori posto, di non avere gli strumenti adatti, di andare incontro a un fallimento certo. Questi sentimenti ci indicano che stiamo uscendo dal nostro modo usuale di comportarci e vedere il mondo, che stiamo costruendo modalità nuove e potenzialmente trasformative. Dobbiamo vederli come alleati e non come un limite, accoglierli «amorevolmente», cioè con «un atteggiamento che esclude la colpa e che consente un dialogo di rispetto reciproco fra le varie parti dell’io». Dobbiamo giocare «senza timore di essere innaturale o goffa».

3. Ragione non è l’opposto di spontaneità

Sclavi dà dei suggerimenti per una resistenza al potere normativo. Lo fa criticando il concetto di spontaneità, di risposta “di pancia” all’ingiustizia, che spesso viene visto come più vero o potente di un pensiero ragionato o di una pratica di organizzazione costruita nel tempo. Una “politica dell’indignazione” cui siamo abituatɜ, tanto quanto al suo recupero capitalistico da parte dei social e mass media.

Il problema per Sclavi risiede nel modo in cui associamo alla spontaneità un valore positivo. Vediamo le emozioni di rabbia o rigetto verso il sistema attuale come azioni pure e dirette, su cui non dobbiamo sviluppare un pensiero critico per non perdere la nostra spontaneità. Essere autoconsapevoli non è però un modo di essere meno spontaneɜ, ma un modo per imparare a parlare un linguaggio diverso. Le emozioni sono la nostra percezione di come normalmente ci comportiamo in una data situazione: se di fronte all’ingiustizia proviamo una forte rabbia, fermandoci allo sfogo con gesti plateali ma sterili, non stiamo davvero mettendo in moto dei processi trasformativi. Essendo autoconsapevoli possiamo affiancare alla risposta rigida dell’indignazione o della rabbia la risposta flessibile e giocosa della creazione dell’alternativa tramite l’esplorazione di questi sentimenti.

4. Possiamo navigare senza vedere terra

In ultimo, l’approccio alle emozioni di Sclavi dà uno spazio concreto e situato a quella ricerca di alternativa radicale propria degli approcci anarchici e queer (o in ambito accademico delle linee di fuga di Derrida, per quanto ci ho capito). Il linguaggio del corpo non è circoscritto come quello verbale e, invece che a delle contrapposizioni rigide e irrisolvibili, lascia spazio a quella ricerca dell’alternativa innominabile, ma verso cui le emozioni più scomode in qualche modo ci guidano. Possiamo così:

provare uno speciale e più profondo disagio che non trova sbocco né stando sui binari, né uscendo dagli stessi. Non ci soddisfano né i comportamenti conformisti né quelli anticonformisti.

Le emozioni ci possono orientare verso l’alternativa senza farci bloccare dai nostri preconcetti, proprio perché ci indicano dove essi iniziano a vacillare.  Allenandoci ad accogliere il senso del ridicolo o dello strano e a capirne la potenzialità, possiamo imparare a mettere sempre in discussione il modo in cui facciamo normalmente le cose e cercare quei modi diversi che non sappiamo neanche indicare, proprio perché sono al di fuori di quello che è pensabile dalla nostra ragione.

L’autoconsapevolezza emotiva così descritta diventa, al posto di uno di quei tanti compiti ammantati di morale cattolica che spesso sono descritti come necessari a chi vuole cambiare tutto, un concetto bello e pericoloso, affascinante e tagliente. Ci pone costantemente a contatto con il problema, un problema irrisolvibile ma proprio per questo capace di muoverci continuamente verso una soluzione. Come dice Sclavi in una nota:

Lo slogan “sii realistico, chiedi l’impossibile” era molto bello. Peccato che non sapevamo cosa


Note:

[1] Elisa Cuter parla di una politica guidata da una spinta etica che ci detta cosa dovremmo fare, essere, desiderare… cfr. E. Cuter, Ripartire dal desiderio, minimum fax, 2020.

[2] M. Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Pearson, 2022.

[3] In questo senso il concetto di calistenia anarchica di James C. Scott, ovvero l’allenarsi alla pratica anarchica tramite piccoli atti di disobbedienza, appare ancora più fondamentale, cfr. J.C. Scott, Elogio dell’anarchismo, elèuthera, 2022

[4] Questa lettura delle emozioni è in continuità con quanto affermato dallo psicologo Daniel Siegel, per cui le emozioni sono «modifiche nello stato di integrazione» della mente e «rappresentano processi dinamici creati nella parte del cervello influenzata socialmente e addetta alla valutazione, e l’interazione dell’individuo con l’ambiente» (trad. nostra). Vedi l’approccio della neurobiologia interpersonale e il testo: D. Siegel, La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Raffaello Cortina, 2021

[5] A maggior ragione per i nostri spazi politici, che in ottica prefigurativa devono essere capaci di cambiare e reagire alle nostre emozioni, poiché vogliono essi stessi produrre cambiamento.

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