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Il passeggiare è politico 🌳

Crafting di febbraio 2023 – Conoscere, rappresentarsi e stare nello spazio pubblico senza intermediazioni. La newsletter di febbraio è un invito a camminare la tua città.

10/03/2023

Il mese è stato breve, francamente troppo breve per trasformare in articolo tutti i pensieri e le suggestioni. Perciò ecco qua, tutto riversato nel crafting, il mese dei ripieghi e degli adattamenti temporanei imperfetti ma comunque fertili (speriamo).

Benvenutə al crafting di febbraio!

Siamo CollettivoContesto. Il piano era di raccontarti un po’ il nostro sogno di andare a vivere in un ecovillaggio (non sai cos’è? beccati il canale Instagram di @bernardocumbo).

Il fatto è che le contingenze della vita a volte si mettono di mezzo, e lasciare una città e un lavoro è una decisione che va presa, almeno per quanto ci riguarda, con dei presupposti.

Però hey, non è tutto male ciò che è in pausa.

Se il Solarpunk ci ha insegnato qualcosa è proprio l’arte dell’interstizio, del si fa con quello che si ha, il fatto che ovunque si può costruire futuro. C’è chi lo fa in un deserto postapocalittico, come le vecchie del libro Angeli minori di Volodine… figuriamoci se non ci si riesce in centro a Torino.

E allora, ecco uno dei nostri strumenti per provare a vivere un po’ meglio in questo mondo.

La passeggiata in città

Primo: passeggiare è rilassante, ti fa stare bene. Non sottovalutarlo, specie se hai interiorizzato anche tu quell’ideologia della performance che ti fa sentire in colpa ogni volta che ti dedichi un po’ di tempo improduttivo.

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Secondo: conosci lo spazio che abiti. Conosci i tuoi vicini, umani e non umani, e i significati che attribuiscono ai luoghi.

Potresti scoprire che il quartiere storico che pensavi costellato da piccole botteghe è in realtà pieno di supermercati; che la piazza dove trovavi un po’ di calma è diventata un data center di telecamere a uso pubblicitario; oppure che il quartiere periferico “degradato” è in realtà permeato di cultura e socialità altre dalla tua.

Questi sono alcuni esempi di esperienze della nostra città. In parte erano cose che già sapevamo, ma che non avremmo potuto conoscere se non cazzeggiando senza meta.

Come scrive Tim Ingold nel saggio Impronte nel tempo-mondo: camminare, respirare, conoscere (Environmental Humanities Vol. 1):

«Se la conoscenza è qualcosa che è possibile fare, allora questo fare deve essere inteso nel senso implicato dall’espressione «farsi strada» nel mondo. Non si tratta di una costruzione, governata da meccanismi cognitivi di qualche tipo, ma di un movimento spontaneo – un procedere o un mettersi in cammino – che è aperto, che non conosce una destinazione finale.»

Camminare è un lungo processo di conoscenza dello spazio. Significa connotarlo, arricchirlo di significato.

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Terzo punto, lo prendiamo alla lontana.

Le pratiche di conoscenza legate al camminare senza meta sono incarnate, dall’Ottocento in poi, dalla figura del flâneur. Come spiega Lauren Elkin in Flâneuse, il flâneur è una figura esclusivamente maschile, tanto che è Elkin a coniare per sè il neologismo flâneuse.

«[La] donna che cammina per strada era con ogni probabilità, secondo i benpensanti, una “passeggiatrice”. […] In primo luogo per strada c’erano anche donne che non vendevano il loro corpo. E, in secondo luogo, non c’era niente di simile alla libertà del flâneur nella preda del cacciatore urbano; le prostitute non erano libere di vagare per la città.»

La conoscenza che otteniamo nel passeggiare è intimamente legata agli «ambienti sociali e [agli] assi della differenza su cui ci collochiamo nel corso del tempo» (Lucilla Barchetta, La rivolta del verde). La stessa disparità nella possibilità di muoversi che emerge dai termini “passeggiatore” e “passeggiatrice” dimostra che il muoversi negli spazi è attraversare e rendere esperibili i sistemi di potere che viviamo.

Proprio come la flâneuse Elkin produce la propria parola, anche i nostri corpi trans*, camminando nello spazio pubblico, producono una rappresentazione di sé stessi che si colloca da qualche parte su quegli assi della differenza, e che contribuisce a generare un’abbondanza di esperienze possibili, prima inconcepibili, per tutta la collettività.

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Quarto: ha a che vedere con il riappropriarsi attivamente dei luoghi, riguadagnare terreno, per così dire, su quelle realtà che occupano lo spazio pubblico sotto i nostri occhi (eh sì, affissioni pubblicitarie, dico a voi…).

Se ci pensi bene, un’esperienza che fai raramente è quella di vivere la tua città prima come cittadinə che come cliente di qualcosa. Fai shopping, vai in un locale, compri un libro, produci e acquisti. Questi sono modelli di consumo che oggi sappiamo di dover cambiare radicalmente, e insieme a loro la forma e l’uso che facciamo delle nostre città. Le relazioni che intessiamo e le conoscenze che produciamo camminando, creano lo spazio d’azione in cui sperimentare urbanità e socialità nuove. La città dei 15 minuti si crea con la città delle ore perse a passeggiare.

E anche mentre agiamo per riappropriarci dello spazio pubblico, ci accompagna il famoso monito di Donna Haraway: Pensare, pensare dobbiamo, insieme alle parole di Rebecca Solnit:

«[…] in una cultura orientata alla produzione, pensare è generalmente concepito come fare niente, e il fare niente è difficile da fare. La via migliore per realizzarlo è di mascherarlo nel “fare qualcosa”, e ciò che più si avvicina al fare niente è il camminare.»

Crafting

/ˈkrɑːf.tɪŋ/ – noun. The activity of skilfully creating something such as a story. Examples:
  • So much care went into the crafting of the narrative.
  • She saves fabric scraps and old buttons and uses them for crafting.

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