Uno dei pezzi più insoliti contenuti in Recinti e finestre. Dispacci dalle prime linee del dibattito sulla globalizzazione di Naomi Klein (2004), vede l’autrice argomentare all’interno di un dibattito che in quegli anni era molto acceso e oggi è quasi del tutto scomparso: quello sugli Organismi Geneticamente Modificati. È un articolo interessante e bizzarro perché, accanto alle critiche di merito politico, come l’accentramento economico, la sicurezza alimentare e l’autonomia di scelta di individui e gruppi, in particolare del cosiddetto Sud globale, emerge un altro discorso: quello sulla presunta non naturalità dei prodotti OGM. Questo è, a nostro parere, uno degli aspetti più controversi comuni a quasi tutta l’elaborazione ecologista ed eco-femminista di quegli anni.[1]
Leggere Contro Natura di Lorraine Daston[2] può stimolare alcune riflessioni in merito ai discorsi sulla naturalità o non-naturalità dei fenomeni sociali, siano essi l’omosessualità e i terzi generi, la democrazia, il mutualismo o al contrario il darwinismo sociale e la necessità delle istituzioni dello stato per gestire l’innato egoismo individuale. Da tutti questi dibattiti infatti emerge un filo comune: è importante rifarsi a un’idea di natura, o come valore a cui avvicinarsi (Dio, il bene, la sostenibilità), o come stato indesiderabile, brutale o primitivo da cui allontanarsi mediante l’intelletto, le leggi, la disciplina ecc. In ogni caso la natura è sempre presente nelle posizioni che cerchiamo di sostenere, ed è sempre associata alla sfera del giusto e del in/desiderabile.
Cognitivamente, la sfera del “ciò che è” e la sfera del “ciò che dovrebbe essere” sono praticamente fuse nell’idea stessa di natura. Daston porta tre esempi di nature a cui ci rifacciamo sistematicamente e che strutturano il nostro pensiero: le nature specifiche (di specie), che accomunano tutti gli individui di una stessa specie entro precisi limiti biologici e li dotano di particolari caratteristiche e attitudini[3]; le nature locali, che rimandano all’ordine interno degli ecosistemi naturali; e le leggi naturali universali, di cui le scienze dure sono sempre state alla ricerca.
Chiamare in causa questi e altri tipi di “ordine” naturale alla ricerca di una direzione per il nostro agire è, per Daston, qualcosa che abbiamo sempre fatto. Capire la natura, con la teologia prima e con la scienza poi, è dirimente, e queste discipline hanno assunto una posizione centrale nella società più ampia, quella di giudici nelle controversie morali e politiche, di esperti capaci di enunciare la realtà delle cose, che per l’appunto ci dice anche come dovrebbero essere.
Tuttavia, la scienza dell’ultimo secolo è andata oltre, rivelandoci qualcosa di più: la natura non è un concetto unitario, ma un insieme di cose, di fenomeni e specificità. A voler leggere gli insegnamenti morali che la natura (o sarebbe meglio dire le nature) sembra darci, ci troviamo di fronte a un groviglio di contraddizioni, un accostamento di funzionamenti divergenti che non si risolve in una sintesi, in un ordine generale, ma si riproduce in maniera non direzionata, autodiretta, eterarchica[4].
Lo spunto che traiamo dalla tesi di Daston[5] è che dovremmo smettere di appellarci all’idea di natura per legittimare le nostre politiche. Il riferimento alla natura, oltre che spesso inconsistente e bisognoso in ogni caso di un’autorità epistemica (quella più quotata è la scienza), è del tutto inutile, dal momento che con la natura si può sostenere tutto è il contrario di tutto. Se gli OGM sono innaturali, che dire della medicina? Se il formicaio rappresenta la perfetta società organica, che dire delle femministe? Se i bonobo fanno sesso tra maschi, che dire dello stupro tra le anatre? Questo non significa (necessariamente) prendere posizione a favore degli OGM, contro la società organica o l’omosessualità. Significa prendere le nostre posizioni politiche sapendo che la natura non ci verrà in aiuto per sostenerle.[6]
Note
[1] Per un superamento a due piedi di questa prospettiva leggi: Xenofemminismo.
[2] Contro Natura è uscito in edizione italiana nel 2024 per Timeo, ma noi avevamo a disposizione l’edizione inglese del 2019, per questo potrebbero esserci delle imprecisioni terminologiche in questa nota, dove le parole che scegliamo sono tradotte da noi.
[3] Un’ottima critica al concetto di specie e alla sua supposta omogeneità l’abbiamo incontrata in La concezione anarchica del vivente del biologo Jean-Jacques Kupiec.
[4] Oppure, di nuovo con Kupiec, semplicemente anarchica.
[5] In realtà Contro Natura ha anche un’altra tesi, che abbiamo tralasciato perché non ci sembra né utile né interessante. Per completezza: Daston sostiene che la ragione per cui ci appelliamo alla natura è che, come esseri umani, abbiamo bisogno di rappresentare i processi fuori di noi. Rappresentare valori astratti come il mutualismo o la disciplina attribuendoli qualcosa che vediamo e di cui facciamo esperienza concreta sarebbe connaturato allo sviluppo degli umani come specie.
[6] Senza polemica, ti invitiamo a notare che la tesi alla nota 4 è sostenuta precisamente da un riferimento alla natura umana.
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