La violenza, come la racconta il romanzo di non-fiction

La questione della violenza come cosa molto umana, proprio come emerge dalle origini profonde del romanzo-verità

01/07/2021
Valentina N.

Ci interroghiamo spesso, leggendo romanzi, sull’origine degli eventi narrati; ci chiediamo se sono ispirati alla biografia dell’autor*, se è tutta fantasia o se “rubano” dalla storia di qualcun altr*. E ancora, ci domandiamo cosa spinge un* autor* a scegliere una certa vicenda – se si tratta di una scelta razionale o di una pulsione, e in questo caso da dove viene e come prende forma.

Le storie, insomma, che riempiono le pagine (e le “pellicole”), e che restano intrappolate in una rete di parole e schemi narrativi, da dove vengono?


23/06/2023
CollettivoContesto

Abbiamo deciso di ripubblicare questo articolo del 2021 per guadagnare un nuovo punto d’ingresso in un tema che ci interessa spesso e in profondità, cioè quello della violenza e nello specifico della violenza politica.

In questo pezzo il punto di vista sulla violenza è quello dell’opera narrativa – di quella che però non è opera di finzione, e perciò si avvicina molto più all’autocoscienza degli autori (i tre in questione sono Capote, Carrère e Lagioia) che al processo dell’immedesimazione creativa.

Come scrive l’autrice del pezzo originale: ogni storia nasce da qualche parte nell* scrittor*: c’è un tema caldo da cui si sente attratt* per le ragioni più disparate, qualcosa che sente il bisogno di raccontare. Nel caso della violenza forse questo risponde anche ad altri due bisogni: quello di fare esperienza della violenza senza esperire le conseguenze, com’è nel gioco di ruolo e nel carnevale, e quello di porsi in modo laico e affettuoso di fronte al fatto compiuto socialmente pubblicamente inaccettabile, che pure si rispecchia in ciò che di socialmente inaccettabile c’è dentro ognunə di noi, appunto la violenza.


01/07/2021
Valentina N.

Truman Capote,  A sangue freddo

A sangue freddo è un romanzo di non-fiction uscito prima a puntate sul New Yorker e poi nelle librerie nel 1966. Capote racconta dell’omicidio di Herbert Clutter, agricoltore benestante del Kansas, della moglie Bonnie e di due dei loro quattro figli, Nancy e Kenyon. L’autore lesse di questo caso di cronaca la mattina del 16 novembre 1959 sul New York Times e decise di recarsi sul luogo degli omicidi, dove intervistò gli abitanti dei dintorni e gli investigatori. Come si scoprì in breve tempo, gli assassini erano due uomini da poco usciti dal carcere, Perry Edward Smith e Richard Hickock.

A sangue freddo è considerato il primo romanzo di non-fiction. Qui Capote ricostruisce l’omicidio e le indagini che lo hanno seguito, presenta le persone coinvolte e il loro background, le motivazioni che hanno spinto i due uomini verso quel gesto e la reazione di chi è entrato in contatto con la strage. Nel metodo, è un romanzo che trae molto dalla cronaca, sia nella scelta dell’argomento sia nella voce utilizzata, un narratore esterno, onnisciente e imparziale. In quello che è stato definito «romanzo-reportage» e «romanzo-verità», Capote prende le parti di tutte le persone, senza prendere le parti di nessuna. Una postura che gli è costata l’accusa di voyeurismo da parte della critica e dell’opinione pubblica, un meticoloso distacco che tuttavia ha una funzione ben precisa: quella di dimostrare l’impotenza del romanzo davanti alla crudeltà umana.

Emmanuel Carrère,  L’Avversario

Un’altra non-fiction letteraria sono i libri di Emmanuel Carrère. Nel suo più noto, L’Avversario, Carrère scrive di Jean-Claude Romand, che nel 1993 uccise la moglie, i figli e il giorno successivo anche i genitori, poi diede fuoco alla casa e tentò di uccidersi senza riuscirvi.

A colpire Carrère, che lesse la notizia sui quotidiani, fu il fatto che Romand venisse descritto da tutt* l* conoscenti e amic* come un uomo posato e affettuoso. Cosa può portare una persona del genere a compiere una serie di gesti così crudeli e violenti? Questa domanda spinse Carrère a dedicarsi al caso Romand, seguendo l’intero processo, scrivendo lettere all’assassino, intervistando le persone che lo avevano circondato, e infine e faticosamente a scrivere L’Avversario, ammettendo tra le altre cose una strana forma di rispecchiamento tra sé e Romand.

Ispirandosi a Capote, anche Carrère cercò di utilizzare una terza narrante onnisciente, completamente esterna e imparziale, ma l’esito non gli parve soddisfacente. Così decise di inserire la propria voce. A narrare, infatti, è Carrère stesso, che espone i fatti, le proprie azioni e, qua e là, i propri pensieri. E proprio per via di quel rispecchiamento nella menzogna e nella violenza, ogni accusa a Romand suona come un’accusa a sé stesso, e anche ogni tentativo di essere indulgente con Romand suona come una richiesta di indulgenza.

Nicola Lagioia, La città dei vivi

«Assolvere è comunque giudicare. Le spalle curve testimoniavano la lotta che in certi periodi sosteniamo per non lasciare che la nostra identità – o ciò che reputiamo tale – venga travolta dalla falsa immagine che gli altri hanno di noi.»

Il terzo testo è La città dei vivi di Nicola Lagioia. Siamo a Roma nel 2016, e vittima di un omicidio è Luca Varani, un ragazzo di ventitré anni. A dichiararsi colpevoli sono Manuel Foffo e Marco Prato, entrambi poco più vecchi di Luca. Lagioia ricostruisce l’assassinio violentissimo, il passato di ciascuno dei giovani coinvolti, racconta gli interrogatori a Manuel e a Marco, i programmi televisivi che hanno ospitato i genitori, la condanna dei due ragazzi. La voce narrante è una prima, Lagioia appunto.

In questo caso, ancora più che per Carrère, è l’autore a raccontare la storia del romanzo. Già nel 2016 gli è stato proposto di scrivere un reportage sull’assassinio, e le ragioni che lo hanno spinto ad accettare sono una rivelazione diretta, una porta che si apre nella storia dell’autore. È una scintilla biografica a dar via al fuoco dell’interesse di Lagioia, a far sì che il caso di Varani lo avviluppasse e ossessionasse al punto da scrivere un libro quattro anni dopo il reportage. C’è di mezzo l’età, la violenza, il passato.

23/06/2023
Mycena

Bonus track: Edoardo Albinati, La scuola cattolica

Un altro libro che merita una parola è La scuola cattolica di Edoardo Albinati, di cui è uscito un adattamento cinematografico alla fine del 2021. In questo caso sembra ancora più evidente la ragione che ha spinto l’autore a raccontare.

La storia è quella di un liceo privato di Roma e dei ragazzi che lo frequentano. Figli di famiglie ricche, adolescenti che cercano un posto, che fanno i conti e si scontrano con le aspettative anche ma non solo legate alla loro maschilità, e performate di conseguenza. Tre di questi ragazzi sono quelli che nel 1975 compieranno il cosiddetto massacro del Circeo, stuprando due ragazze e uccidendone una.

Il racconto di Albinati si concentra sul contesto che rende possibile lo sviluppo di un tale pensiero, di un malessere e di una violenza che conducono all’estremo del massacro. E la ragione è che naturalmente Edoardo Albinati frequentava negli stessi anni la stessa scuola, e ciò che al posto di Ghira, Guido e Izzo avrebbe facilmente potuto esserci Albinati, che la possibilità della violenza estrema è in ognunə di noi, che alcuni uccidono e altri ne scrivono.


01/07/2021
Valentina N.

Da dove nasce la non-fiction

Tutti questi esempi di romanzi non-fiction hanno come protagonista la violenza. Sono casi di cronaca famosi proprio per la portata inconcepibile della loro cruenza. Buona parte della produzione di non-fiction in realtà si concentra su questo apsetto: libri, documentari, docuserie che affrontano omicidi su larga scala, assassini seriali e via dicendo. Pensiamo, per citane alcuni, a The staircase, una docuserie francese che racconta di uno scrittore che uccide la moglie; o The Two Killings of Sam Cooke, il documentario che racconta di come un artista e attivista sia stato ucciso dalla propria manager; Making a Murderer, una serie tv che mette in scena la vita di Steven Avery, accusato più volte di omicidio e stupro; o ancora i film che sono stati fatti sull’omicidio di Amanda Knox. E ancora i programmi televisivi come Chi l’ha visto?Amore criminale o Quarto Grado.

E forse ancora questo gesto che fanno l* autor* di non-fiction non è poi tanto diverso da quello dell* autor* di fiction: il male e il dolore dei romanzi di Shephen King, l’inevitabilità del crimine (ma non della soluzione) in Agatha Chirstie e altr* maestri e maestri della letteratura.

Insomma, la rappresentazione della violenza ci attrae, sia quando ne scriviamo sia quando la fruiamo. Il fuoco sembra essere sempre lo stesso: un bisogno di provare a capire o almeno a figurarsi la violenza di cui l’essere umano è capace. Una violenza che è dentro di noi e che non ha spazio di esperienza se non in quello che può essere considerato a qualche titolo arte.

Di fronte al male le persone si rivolgono a Dio o alla ragione, allo studio della natura, della psiche, della società. Ma spiegarla non equivale a conoscere la violenza, ci resta da fare un’esperienza diversa, diretta, vera come quella di un romanzo.

 

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