Un crimine o una preghiera: l’antiprocesso a Jean-Claude Romand

Chi è L’Avversario di Emmanuel Carrère

18/02/2020

Questa è la storia di due uomini. O meglio, è la storia di un uomo che indaga nelle identità dell’altro alla ricerca di (o forse in fuga da) un punto di contatto. È la storia parallela di Emmanuel Carrère, scrittore di fama internazionale, e di Jean-Claude Romand, che nel 1993 uccise la moglie Florence, i due figli e gli anziani genitori e appiccò il fuoco in casa rischiando la vita lui stesso.

La mattina del sabato 9 gennaio 1993, mentre Jean-Calude Romand uccideva sua moglie e i suoi figli, io ero a una riunione all’asilo di Gabriel, il mio figlio maggiore, insieme a tutta la famiglia.

La metamorfosi di Jean-Claude Romand

A lungo stretto in un universo di menzogne che si è eretto intorno, Romand ha raggiunto il limite. In un momento che non si riesce a identificare come un raptus o come il culmine di un piano discreto e calcolato, ha compiuto una strage destinata a rimanere nelle cronache francesi.

Durante il processo, Carrère si trova in platea con la stampa, a pochi metri da un Romand lucido alla sbarra, eppure fragile. È allora che iniziano ad emergere le profondissime contraddizioni di un uomo (Jean-Claude Romand) diviso tra un sincero amore per la famiglia che ha sterminato, una fede sempre più radicata, e una vita fatta di menzogne fino alle sue fondamenta. E allo stesso tempo emergono le contraddizioni di un altro uomo (Emmanuel Carrère), che lotta tra l’attrazione e la repulsione per l’omicida, tra la scettica ragione che lo spinge a non credere a una sola parola di Romand, e una immotivata empatia che somiglia a sua volta a una fede.

Autofiction: il racconto dei due dolori

Questa è una storia che a Carrère è costata sette anni di depressione, e a Romand ventisei anni di carcereal termine dei quali, nella primavera del 2019, ha ottenuto la libertà vigilata.

Nel frattempo L’Avversario, pubblicato in Italia da Adelphi nel 2000, è stato riconosciuto come uno dei libri migliori, se non il migliore, dell’autore francese. È il capostipite del genere dell’autofiction: con questo libro Carrère ha abbandonato per sempre il biografismo che era al centro, per esempio, di Io sono vivo, voi siete morti, biografia dello scrittore di fantascienza Philip K. Dick. Questo nuovo genere, l’autofiction, ha il potere di descrivere non uno solo, bensì due dolori. Da un lato, quello di Jean-Claude Romand, del delitto e del processo, e dall’altro quello della cronaca, il dolore di Emmanuel Carrère. Il narratore, la persona che per duecentosessanta pagine dice “io”, è protagonista tanto quanto quel protagonista invisibile e recluso, su cui si può congetturare, ma che resta celato dietro a una coltre di menzogne.

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E come giustificare questo dolore narrante? Carrère sente il bisogno di farlo nel finale. L’Avversario è, nella forma e nella sostanza, una sperimentazione. Il lettore segue le tracce del narratore, ripercorre i suoi tentativi, inciampa egli stesso nei suoi errori. E gli errori, gli incidenti di percorso che Carrère non si è dato la pena di nascondere, sono ancora lì tra le righe, e lo rendono un libro strano, disordinato, fatto di ripensamenti e di false partenze. È un narratore che specula, che esagera il, che accoglie e condivide le opinioni di tutti e non è più capace di districarsi tra quello che il buon senso gli dice e quello in cui vorrebbe credere.

Ma in fondo cercare di giustificare la forma di questo libro è forse solo un modo per arrivare a rendere conto della stessa scelta di scrivere questo libro. Un libro che gli è costato fatica, che lo ha messo alla prova. Un libro che serviva a dare un senso (non fosse altro che una coerenza narrativa) a una storia che sfugge alla comprensione, la storia di un massacro. E per qualche motivo questa storia risuona dentro Emmanuel Carrère, nella sua umanità.

Sembra quasi di sentire, alla fine di tutto, il peso della fratellanza tra questi due protagonisti. Lo scrittore e la sua nemesi. William Wilson e il suo omonimo. Sembra quasi di immaginarli, a sorti invertite, come se Jean-Calude Romand avesse affrontato sette anni di depressione, e Carrère avesse scontato ventisei anni di carcere. E adesso che Romand è uscito, non possiamo fare a meno di chiederci se anche Carrère sia libero.

Ho pensato che scrivere questa storia non poteva essere altro che un crimine o una preghiera.


L’immagine che ritrae Jean-Claude Romand è stata pubblicata da Pangea.

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