nota ottimista sull’intervento di Emanuele Leonardi “Manifesto per un’Ecologia Politica” il 25/01/2023

26/01/2023
Mycena

Con questa nota apriamo due temi fratelli (quasi) nuovi: il movimento no global e la cosiddetta green economy.


Nelle ultime settimane mi sono interessato alle vicende del cosiddetto movimento no global, che considero una prima importantissima manifestazione di quella confluenza politica critica e intersezionale che sembra oggi acquisire spazio e vigore soprattutto tra lə giovani attistə natə dopo il 2000 (qui lo sguardo di Paul B. Preciado su questo movimento senza nome).

In realtà l’importanza del no global non si ferma qui. Attraversando gli spazi marxisti e i movimenti operai ci si rende conto che è ancora abbastanza viva la memoria di alcune mobilitazioni di massa come quella di Seattle. Che sono stati momenti fondamentali non solo ad esempio per il movimento ecologista, ma che hanno occupato uno spazio centrale nel discorso su come facciamo a fare e a gestire una mobilitazione di massa, su come negoziamo tra noi i nostri obiettivi e con quali modalità di lotta li portiamo all’attenzione dei media e dei poteri decisionali.

Qualche settimana fa, subito dopo l’azione di Ultima Generazione
contro l’edificio del Senato a Roma, mi è capitato di leggere un tooth su Mastodon che metteva a confronto gli attacchi pubblici delle cariche dello Stato ai giovani ecologisti di UG con quelli della polizia contro i manifestanti del G8 di Genova del 2001. Ecco una linea molto diretta tracciata ancora una volta per unire il movimento no global ai nuovi movimenti ecologisti. Difficile dire quanto questa mia elaborazione sia condivisa all’interno dell’ecologia politica, e sicuramente ci tornerò sopra.

 

Un’altra cosa che ho appreso, sempre a Comunet, dalla bocca di Emanuele Leonardi, è che probabilmente non siamo nella seconda fase del discorso ecologista, come pensavo, bensì nella terza.

Il primo movimento ecologista si è scontrato con il rifiuto netto dell’opinione pubblica di ascoltare (questa è la militanza ecologista di mio nonno), una sorta di negazionismo istituzionalizzato, in cui solo le voci di pochi eminenti scienziati potevano levarsi per lanciare l’allarme circa il nostro rapporto con il mondo esterno, e comunque un allarme inserito in un discorso scientifico ed etnocentrico.

Non è però contro questo stato di cose che il nuovo movimento, e  Greta Thumberg in primis, è insorto. È insorto invece contro un diverso modo di trattare il dibattito sulla crisi climatica, che è quello della green economy: dell’impresa privata che punta a salvare il pianeta e il capitale. 

Questa prospettiva, che francamente mi terrorizzava per la sua vicinanza concreta, è in realtà già venuta ed è fallita. Proprio questo diceva Thumberg nel suo discorso alle Nazioni Unite: le istituzioni internazionali hanno sbagliato perché hanno perseguito una politica climatica inefficace e lo hanno fatto lasciando campo libero alle imprese private.

A questo si aggiunge il fatto che la green economy non può tornare perché il capitalismo non è in grado di fare fronte alla mole di gente che la crisi climatica spingerà a spostarsi. Ormai è troppo tardi per tutti i Bill Gates e gli Elon Musk del caso, se sarà una sollevazione sarà dal basso, altrimenti rischia di essere la catastrofe climatica.

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