L’avvento della meritocrazia è una distopia del 1958, che ci parla di come pure oggi la pensiamo, seppure senza ammettercelo, la questione del merito.
Nella finzione di Young è un sociologo “meritocratico” a scrivere questo libro, per raccontare la storia di una società che nel 2033 ha fatto a meno delle vecchie differenze di classe per crearne di nuove, questa volta sulla base del merito.
Premiare chi lo merita, il Ministero dell’Istruzione e del Merito, esserselo meritato, questa narrazione meccanicista secondo cui le tue azioni determinano interamente i risultati che otterrai, è che per di più è giusto così. Ovviamente per un sociologo come Young è assurdo, ma il suo protagonista è al contrario completamente immerso in questo bagno valoriale, e anche con orgoglio racconta i risultati che la società meritocratica è riuscita ad ottenere negli anni in termini di disuguaglianza, segregazione e umiliazione.
Che sarà poi davvero il merito? Perché fin dall’inizio il metro di giudizio è il QI, l’intelligenza, la rapidità con cui l3 bambin3 sviluppano le loro funzioni cognitive e intellettive, e forse in fondo il merito c’entra ma neanche tanto.
Se devi fare finta di averlo letto accenna anche ai punti di debolezza: poca trama e un’agilità di lettura 1.5/5 (detto altrimenti, bello ma un po’ noioso).
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