Dentro, fuori. Pieno, vuoto. Sicuro, tossico. Maschile, femminile. Bianco, nero. Umano, animale. Nazionale, straniero. Cultura, natura. Pubblico, privato. Organico, meccanico. Centro, periferia. Qui, lì. Analogico, digitale. Vivo, morto.
Lo scriviamo perché occupa un buon 10% del libro, ci sembrava importante.
Ma oltre ad aggiungere peso al libro, questo mantra è utile anche a ricordarci che cosa vediamo quando guardiamo il mondo. Un mondo di soggettività binarie dal quale noi, piano piano, ci sentiamo sempre più estrane3. E forse non solo noi, se è vero che viviamo in quella che Preciado chiama, appunto, dysphoria mundi, la «condizione epistemico-politica della contemporaneità». Per Preciado ci troviamo all’inizio della fine del realismo capitalista, segnato dalla crisi del Covid-19 e da tutte le sue conseguenze.
Che questa condizione prenda il nome dalla disforia delle persone trans* non è ovviamente casuale, ma non vuole comunicarci che diventeremo tutt3 trans*, o che le persone trans* siano un qualche tipo di soggetto rivoluzionario. Tanto quanto la disforia psichiatrica, quella mundi non è una condizione inerente a certi soggetti – potremmo dire una malattia – ma è «il rifiuto di gran parte dei corpi viventi del pianeta a sottostare a un regime di conoscenza e potere petrosessorazziale». Un regime che si sta disfacendo sotto i nostri occhi, e i cui binarismi che ancora sembrano legittimi (dentro fuori, pieno vuoto…) sono sempre più delle facciate. Sta a noi capire cosa c’è al di là.
In questo senso, l’esperienza della disforia come strumento epistemico di controllo e normalizzazione vissuta dalle persone trans* è un esempio, circoscritto al concetto di genere, del tipo di condizione che ci troviamo a vivere in quanto soggett3 al moderno regime farmacopornografico (o neoliberale, o della società del controllo a seconda dellə tuə filosofə preferitə): l’imposizione della sottomissione al potere attraverso la costruzione delle nostre stesse identità e dei nostri corpi per via medica e semiotica. Non possiamo più essere un soggetto in accordo o in opposizione al potere, perché quello stesso soggetto, i suoi desideri, il modo in cui si pensa e si relaziona al mondo sono strutturate dal regime petrosessorazziale (lo stesso afferma il mai abbastanza citato Comitato Invisibile). L’esperienza trans* ci può però dare una direzione con cui uscire da questo meccanismo, su come de-soggettivarci, su come diventare queer. Non solo sul fronte del genere, ma in tutte le finzioni politiche che ci accompagnano:
Avendo come riferimento i processi di transizione di genere e i percorsi non binari, così come le politiche di transizione energetica ed ecologica, questa teoria delle superstringhe micropolitiche, insieme transfemminista, anticoloniale, ecologista e radicalmente disidentitaria, può a buon titolo definirsi “Trans”.
L’aspetto forse più più importante di questo libro è proprio l’aiutarci a decostruire un altro binarismo che ci portiamo dietro almeno dagli anni Novanta: queer theory vs. teoria politica. Il testo infatti dà per assodata tutta la teoria queer e il background preciadiano e li applica guardando alla politica e alla biopolitica del periodo del lockdown. In questo modo la decostruzione queer del soggetto moderno non è il fine della teoria e non ci basta più:
Oggi forse più che mai avvertiamo la tensione da sempre inscritta nella filosofia tra sapere e fare: tra sapere tutto e non poter fare niente per cambiare il corso delle cose o, all’inverso, continuare a fare tutto come lo si è sempre fatto, sapendo che nulla ha più senso. La prima opzione fa da sfondo alle paranoie complottistiche. La seconda alla depressione individualistica.
Dobbiamo, dunque, fare politica. Ma sorge una domanda: se dismettiamo il concetto di “soggetto politico” («l’ossessione per l’identità […] occupa nel dibattito pubblico, sia esso letterario, politico o sociologico, il posto che dovrebbe spettare alla riflessione su come fermare la distruzione totale del vivente»), come possiamo fare politica?
Il punto è che per Preciado fare politica oggi è proprio scoprire, tutt3 insieme, cosa possiamo costruire oltre l’attuale epistemologia, oltre le nostre attuali identità. Disidentificarsi non vuol dire abbandonare la politica o gettare la spugna, ma vuol dire iniziare, forse con difficoltà, a creare i nostri strumenti per definire la realtà e i corpi che la abitano, le nostre somateche.
I nostri corpi sono delle macchine morbide, attraversate, definite e strutturate dalle narrazioni politiche, dalle strutture di potere, dal sesso, dal genere, dalla razza. Ma quelle narrazioni non abitano semplicemente i nostri corpi, vi si costruiscono dentro; i corpi sono gli spazi in cui si agiscono e attraverso cui si strutturano le narrazioni. Così come attraverso e nei nostri corpi si sono costruite la gestione della pandemia, il controllo cibernetico, il collasso climatico, il sistema sesso-genere, i media, il patriarcato, il colonialismo, i social, big pharma, il liberalismo, lo stato e tutte le altre cose di cui ci parla Preciado nel suo monumentale libro (nella cui stazza gli effetti del lockdown si vedono eccome).
Preciado ci dà tutti gli strumenti che ci servono per cambiare queste cose, o almeno quelli che ci può offrire un libro. Ci dà la consapevolezza di vivere il sistema in una condizione diversa, con la nostra dysporia mundi; ci dà degli elementi di analisi e di critica di tutto ciò che circonda, delle tracce da iniziare a seguire per raccontare la nostra storia in modo diverso; ci dà una tattica politica con cui costruire un’intersezionalità radicale, una simbiosi politica; ci dà tutti i suoi svarioni in tempo di pandemia e ci ricorda che, per quanto filosofə, è un povero sfigatello con la mascherina tanto quanto noi. Ma soprattutto ci dà la speranza che la rivoluzione sta già avvenendo:
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