La resurrezione digitale di Ronnie Pinn

Siamo nel 2016, ci sono più profili falsi su Facebook che abitanti nel Regno Unito, e il giornalista Andrew O’Hagan si imbarca nell’esperimento di un vero a proprio Dottor Frankenstein del web: L’invenzione di Ronnie Pinn.

16/01/2020

Da una ventina d’anni a questa parte si è assistito a un potente rivolgimento sociale, paragonabile ad altri snodi fondamentali nella storia dell’Occidente. In precedenti contesti storici, uno fra tutti la Francia rivoluzionaria di fine Settecento, il cambiamento era caratterizzato dall’emergere di idee e rivendicazioni che prendevano corpo in movimenti politici con l’obiettivo preciso di modificare la realtà. L’epoca in cui viviamo, al contrario, non è permeata da un importante pensiero eversivo in lotta per emergere, ma da una modificazione capillare e inconsapevole a livello delle consuetudini di vita di milioni di persone.

Chi più chi meno, siamo tuttə immersə in una rete che si estende ben oltre le nostre relazioni sociali, una rete alla quale abbiamo accesso libero in qualunque momento attraverso i nostri smartphone e altre tecnologie digitali, una rete sulla quale possiamo intervenire e che al tempo stesso ha il potere di intervenire su di noi imprimendo una direzione nuova a quello che facciamo, ai valori in cui ci riconosciamo, ai prodotti che acquistiamo, al nostro voto – può intervenire su chi siamo.

Dunque oggi, nel chiederci chi siamo, non possiamo fare a meno di chiederci in che modo e attraverso quali meccanismi il Sé si sta riconfigurando per far fronte alla presenza della rete nella vita quotidiana. Dal punto di vista comunicativo, è utile capire quali sono le modalità espressive che la rete promuove e come ognunə sia portatə ad agire per adattarvisi.

Per farsi un’idea di questa realtà è utile partire da una storia: si tratta, con le parole del suo autore Andrew O’Hagan di una “storia vera dell’era digitale”.

 

Chi è Ronnie Pinn?

Ronald Alexander Pinn nacque a Londra il 23 gennaio 1964 e morì vent’anni più tardi per un’overdose. Ma la seconda vita di Ronnie Pinn iniziò nell’inverno nel 2016, quando lo scrittore Andrew O’Hagan incontrò la sua lapide mentre visitava il cimitero di Camberwell. L’dea di una seconda vita gli venne lì, fra le tombe di un gran numero di bambini e ragazzi. I nomi e le date che incontrava sulle lapidi, racconta O’Hagan, gli avevano riportato alla mente una pratica della Metropolitan Police di Londra fino a poco tempo prima legittima e comunemente accettata. Essa consisteva nel prendere il nome di un bambino da una lapide o da un registro e costruirvi intorno una ‘leggenda’. Usando certificati di nascita originali, gli agenti si fabbricavano un profilo che doveva passare per una persona reale. Agivano, secondo O’Hagan, come dei “romanzieri infiltrati”, inserendo nella leggenda il maggior numero possibile di dettagli reali, visitando i luoghi d’infanzia e introiettando usi e atmosfere della loro seconda vita.

Nel riflettere su questa pratica l’autore si domandava: “È consono allo spirito della nostra epoca che, nei miasmi dei social media, la ‘verità’ di ciascuno possa essere sfruttata, innanzitutto da lui stesso?”; e quindi: “Potevo prendere il nome di un giovane deceduto e vedere fino a dove mi sarei potuto spingere insufflandogli una vita fittizia?”

Ecco che ha inizio l’invenzione di Ronnie Pinn.

 

Quel che resta del vecchio Ronald

«Non c’era niente da cui partire”, scrive O’Hagan: non esistevano racconti né documenti che dessero consistenza a un ragazzo vissuto tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Soprattutto, non c’erano profili sui social media. “Ronnie era morto a vent’anni, senza niente intorno a sé, lasciando poche tracce del suo passaggio. Non c’era più. […] e, nei tre decenni successivi, il suo nome fece una sola apparizione su internet, accanto alla foto di un ragazzo in un remoto albero genealogico.»

Così visitò le scuole che Ronald Pinn aveva frequentato e i quartieri dove aveva vissuto, cercò chiunque potesse aver conservato un ricordo di lui; infine richiese il certificato di nascita, che gli permise di ottenere altri documenti. Riuscì facilmente a ricostruire i fatti essenziali del passato di Ronnie Pinn e della storia della sua famiglia, grazie a ricche genealogie e registri anagrafici consultabili a pagamento che, nota l’autore, costituiscono un piatto della bilancia opposto e complementare al prorompere della “vita inventata” assecondato dai social media.

«Scrivendo questa storia, passavo continuamente da un modo di conoscere una persona all’altro, dalla realtà alla finzione e viceversa, e ho avuto la sensazione che fosse una maniera squisitamente contemporanea di comprendere un’esistenza.»

 

Ronnie Pinn online

Tutto ebbe inizio con la creazione di un indirizzo di posta elettronica, per dare consistenza al personaggio che O’Hagan, come un romanziere, stava inventando. Per poi passare alla costruzione a tavolino di un passato che lambiva in parte quello del suo autore, con la manipolazione dei fatti (il luogo di nascita, i titoli di studio…) e la creazione di una rete di relazioni che comprendevano i compagni di scuola, di università, gli amici eccetera. Tutto questo avveniva di pari passo con il radicarsi di una presenza online, e richiedeva l’abbozzo di una vita intera fatta di conoscenze, gusti, opinioni… una vita che non era mai esistita prima di allora.

Ebbe anche un volto, grazie a un esperto di effetti speciali al quale O’Hagan si rivolse perché mettesse il suo ritratto insieme a quelli di altri due uomini per ottenere un’immagine di come Ronnie Pinn avrebbe dovuto apparire.

Poi:

«La costruzione del finto Ronnie trascese la creazione di un personaggio letterario: divenne qualcosa di personale, come vivere un’altra vita, un po’ come un attore, cercando non solo di imitare l’esperienza di una persona possibile, ma anche di vedere se fossi in grado di sviluppare nei suoi confronti un senso di realtà e di empatia. E scoprii di poterlo fare: ero affezionato al mio Ronnie inventato, avevo a cuore la sua immagine.»

Dunque abbiamo un personaggio che si fa via via così reale e tangibile da riuscire a “ingannare” anche il suo autore. E così altre persone, che iniziavano a seguirlo perché condividevano i suoi interessi o semplicemente perché lui seguiva loro, e andavano ad aggiungersi alla schiera di nomi di amici inventati che affollavano il profilo Facebook del nuovo Ronnie Pinn.

«All’epoca Facebook contava 864 milioni di utenti giornalieri, almeno 67 milioni dei quali erano ritenuti falsi dalla stessa azienda.” scrive O’Hagan. “Ci sono più fantasmi sui social media, […] che abitanti nel Regno Unito.»

 

La rete non umana

In questo Ronnie Pinn non è stato un pioniere. Al contrario, gli Weavrs (contrazione di weavers, cioè i tessitori), sono un esempio di “Post-User Software”, dalle parole di uno dei creatori David Bausola, che nel 2012, durante un intervento al festival della rivoluzione digitale Next a Berlino, dichiarò: “I work for the majority of the Internet, which is non-human.”

Nella pagina di presentazione si legge: “Weavrs are your alter egos crafted from the threads of the social web.” Al di là dei soggetti fondamentalmente diversi (in questo caso si tratta di parziali Intelligenze Artificiali), è da notare che il metodo è nella sostanza lo stesso usato ne L’invenzione di Ronnie Pinn, come anche nella creazione di identità fittizie finalizzate al marketing, allo spionaggio industriale, alle indagini di polizia eccetera. Il fulcro di tutte queste operazioni è sempre mettere in moto un personaggio inesistente che si comporta come un persona reale e intrattiene relazioni che a loro volta lo definiscono e servono agli scopi per cui è stato creato.

Questo processo, che portato alle estreme conseguenze può coincidere con l’annullamento dell’umano come singolo in favore del suo ruolo all’interno della rete organica di relazioni che forma insieme a tutti gli altri, in realtà non ha niente a che vedere con l’emergenza della rete e dei social media. I moderni strumenti di comunicazione si sono limitati a fare proprio e adattare uno dei meccanismi fondamentali della costruzione del Sé, studiato da sociologi e psicologi in anni in cui i social media erano ancora di là da venire.


L’auto-invenzione di Ronnie Pinn

“Ronnie, nel mondo reale, era frutto dell’immaginazione, ma nei forum di discussione era altrettanto credibile di chiunque altro.” Ciò che ancora gli mancava per essere un uomo a tutto tondo era l’andare oltre a quella sola immagine che O’Hagan coltivava e che costituisce tutto il necessario per esistere sui social network. Perché Ronnie Pinn iniziasse a esistere anche nel mondo reale era necessario fornirlo di un indirizzo, cioè un appartamento vuoto dove O’Hagan andasse a ritirare la posta indirizzata a una persona inesistente. Intanto, nel dark web, si procurò una patente e poi un passaporto inglese con l’equivalente di centinaia di sterline in bitcoin.

Qualcos’altro era cambiato: nelle mani di O’Hagan, Ronnie Pinn si comportava come un personaggio della finzione narrativa che esca dal controllo del suo autore. Ora che ne aveva i mezzi, si era liberato, e procedeva in base a un principio di coerenza narrativa, ai meccanismi interiori incorporati nel suo passato, e non più soltanto secondo la volontà dell’autore.

Nel dark web, Ronnie imboccò una strada che lo avrebbe portato a conoscere le zone d’ombra, a discutere di droghe, documenti falsi e armi con quelli che si dicevano esperti. Furono pochi i moderatori di siti che cercarono di accertare la sua identità. Così s’iscrisse a un sito di gioco d’azzardo, comprò dell’eroina bianca e se la fece spedire al suo indirizzo di Londra, poi altre droghe e farmaci, denaro falso, e infine armi, che arrivavano a pezzi in spedizioni distinte, pronte per essere riassemblate e usate da un fantomatico Ronald Pinn o da chiunque altro.

Il passaggio dalla rete alla realtà era riuscito: O’Hagan scoprì che Ronnie Pinn aveva un codice fiscale, un numero di previdenza sociale e che riceveva lettere dal fisco; pensò che fosse una questione di tempo prima che potesse anche aprire un conto in banca, fare investimenti, e magari perfino votare.

All’inizio Ronnie Pinn era stato “un modo per testare la tendenza del web a estremizzare l’invenzione di sé, ma, verso la fine, mi ritrovai a controllare un’entità sufficientemente allignata nella realtà da essere in grado di riconfigurarla. L’unico limite di Ronald Pinn era la sua impossibilità di materializzarsi fisicamente, ma al giorno d’oggi, non è necessariamente un problema.”


L’individuo e la rete

Tutto era cominciato con un nome su una lapide e un indirizzo di posta elettronica. I social media, che per gran parte hanno contribuito a creare Ronnie Pinn, a questo punto mostrano una faccia diversa. Gli stessi mezzi che nascevano, nelle intenzioni dei creatori, per avvicinare le persone, per connetterle, ci portano adesso a interrogarci sul concetto di che cos’è una persona.

Alla fine l’autore non può far altro che prendere atto dell’indipendenza del suo personaggio che si è liberato nella rete senza scontrarsi con la materialità dei confini fisici e delle legislazioni nazionali.

“Cancellare il finto Ronnie non fu facile” scrive O’Hagan, alla fine del suo viaggio durato una stagione nella seconda vita di Ronald Pinn. “«Ci dispiace vederti andare via!» disse Gmail, ma chi si celasse dietro quel «ci» dispiaciuto non si rivelò mai, e tracce di Ronnie e di ciò che aveva fatto tramite diversi account email si annidano ora sui server di mezzo mondo.”

Ecco che il Sé ha perso il suo legame con il qui-e-ora e si è rivelato come un’entità altamente diffusa, ma non altrettanto cosciente. Esso appartiene a un tempo non più umano, prodotto dall’oscillazione tra l’immediatezza della fruizione in rete e l’eternità potenziale della memoria dei server.

Di Ronnie Pinn restano solo tracce. Da solo non può più stare al passo con il continuo fluire dei dati e delle storie, il loro apparire e scomparire come se il tempo sullo schermo non fosse altro che un’esitazione nell’arco della loro vita digitale. Contrariamente a Ronnie Pinn, l’essere umano che si trova a fare fronte a queste due grandezze opposte ha dalla sua la possibilità di ricorrere a una continua e costante ri-narrazione del Sé. Il risultato è un’integrazione sempre più forte del medium nella vita quotidiana, scaturita dalla necessità di aggiornare continuamente la propria rappresentazione online. E tuttavia, oltre ad essere un moderno mezzo di comunicazione, internet è un sistema con una propria complessità e proprie contraddizioni, e alla luce di tali contraddizioni il nostro rapporto con internet, e in particolare con i social network, è frutto di un delicato equilibrio. L’interazione costante e reciproca del soggetto col mezzo è uno scenario che apre infinite opportunità di conoscenza, così come infiniti rischi di condizionamento.

La storia di Ronnie Pinn mostra un caso estremo di quella che può essere l’azione della rete nei confronti di milioni di utenti umani. Se essa è riuscita a rendere agente nella realtà il personaggio immaginario di un giovane morto da trent’anni, allora quali e quanti cambiamenti sul piano sociologico, culturale, economico e politico possiamo aspettarci di vedere nel momento in cui lo stesso meccanismo si applica alla maggior parte della popolazione reale?


Credits

Questo articolo è l’estratto di un elaborato accademico. Dove non indicato, tutte le citazioni provengono dall’articolo: O’Hagan (2018) L’invenzione di Ronnie Pinn, in “La vita segreta. Tre storie vere dell’era digitale”, Adelphi.

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