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Mappe, luoghi, territori… e dove trovarli 🗺️

Crafting n.11 – X marks the spot, ovvero il mappare è politico

02/04/2024

È iniziata la bella stagione (record di temperatura mai visti compresi) e, dismessi i cappotti e cambiato il guardaroba, siamo sempre in giro. Ma orientarsi non è facile, specie per chi pratica lo spaesamento e la disidentificazione.

Benvenutə al crafting n.11!

Nel 2021 il politecnico di Torino stringe un accordo con Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che si occupa di “difendere” i confini dell’unione europea mettendo in pratica politiche violente di contrasto alla migrazione – il tutto attraverso respingimenti illegali, collaborazione con la guardia costiera libica e sistematica violazione dei diritti umani.

L’accordo col politecnico è denunciato da attivist3 e professor3 (poch3 quest’ultim3) tra cui Michele Lancione, che lo descrive come un passo avanti nella militarizzazione delle università, cioè nel rendere sempre più convergenti gli interessi militari (quella ai migranti è una guerra) e quelli civili. Il politecnico ottiene fondi, Frontex può utilizzare un nome che viene percepito come autorevole e scientifico: win-win.

Al di là di tutti questi fenomeni molto preoccupanti, rimane ciò che fattualmente viene prodotto nell’ambito dell’accordo: mappe. Mappe utili all’uso interno di Frontex, mappe tematiche che riportano dati di interesse per le missioni dell’agenzia, ma anche mappe che rappresentano quello di cui si occupa Frontex, ovvero la migrazione, tendenzialmente con grandi e minacciose frecce rosse che aggrediscono un’indifesa europa.

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© Frontex, purtroppo

L’utilità propagandistica di questo tipo di rappresentazione è ovvio: le frecce ci riportano alla mente le mappe militari che mostrano gli spostamenti delle truppe, la loro grandezza sproporzionata ci fa pensare a orde di invasori, i colori connotati (rosso per l3 migrant3, blu o grigio per i paesi europei) ci ricordano amici/nemici, i limiti nazionali ben definiti ci indicano confini da difendere (se ti interessa l’argomento, qui un articolo in inglese che lo tratta in modo più ampio).

Quello che forse è meno ovvio è la natura, se non propagandistica, almeno politica di ogni mappa. Persino quello che può sembrare come il dato più oggettivo che possiamo rappresentare, ovvero la superfice terrestre, deriva infatti da una scelta su come proiettare il globo. Ogni rappresentazione di una superfice tridimensionale su un piano introduce delle distorsioni: notoriamente, la proiezione di Mercatore, quella che usiamo in quasi tutte le mappe, mantiene rette le linee (come le rotte delle navi) ma distorce le superfici ingrandendo le aree vicino ai poli. Poiché l’emisfero nord presenta più terre emerse, questo porta a un sovradimensionamento del nord globale rispetto al sud globale (se vuoi giocare un po’ con la proiezione di Mercatore e le sue distorsioni, prova questo sito). Questo non perché la proiezione di Mercatore sia in sé razzista o coloniale, ma perché ha storicamente risposto alla visione e alle necessità dei paesi colonialisti.

Mappo dunque sono

La mappatura non è però solo politica in quanto rappresentazione, ma anche in quanto processo. Nel mondo moderno, l’atto di costruire una mappa è innanzitutto la creazione di una realtà bidimensionale e facilmente leggibile da chi si pone come esternə a essa.

Questo, ovviamente, non solo con fini conoscitivi/scientifici. Come scrive Jason W. Moore, riferendosi al primo periodo coloniale del XVI secolo, lo spazio creato dall’astrazione delle coordinate «fu fondamentale per i nuovi sistemi di mappatura del mondo, senza i quali il mercato mondiale, la formazione degli Stati e la proprietà moderna, sarebbero stati impossibili» (Antropocene o Capitalocene?). Questo perché una realtà mappata è una realtà facilmente accessibile, che non si può più difendere dallo sguardo di chi la vuole controllare: «[c]iascun luogo empirico sulla superficie della Terra diviene un indirizzo potenziale del capitale, il quale considera ogni punto dello spazio nella prospettiva della sua raggiungibilità secondo parametri tecnici ed economici» (Peter Sloterdijk, Il mondo dentro il capitale).

Vale la pena di ricordare che quest’opera di mappatura non è subita unilateralmente dai popoli e dai territori che vengono mappati, in quanto ingloba le loro conoscenze (basti pensare, ad esempio, ai nomi dei luoghi, che devono essere conosciuti chiedendoli alle persone autoctone); queste conoscenze, una volta alienate, diventano però fondamentali strumenti di sfruttamento. In questo senso, secondo Bernardo Paci, la mappa e la geografia più in generale sono strumenti conoscitivi utili all’espropriazione tanto della materia e dei corpi quanto delle conoscenze (qui una sua lezione sull’argomento).

Potremmo forse pensare che quest’uso delle mappe sia una condizione specifica della prima modernità coloniale, ma non è così. Ogni nostro spostamento è oggi mediato dalle mappe, al punto che il modo stesso con cui conosciamo i luoghi che ci circondano passa attraverso l’uso Google Maps. Alla luce di quello che abbiamo detto fin ora, la gigantesca opera di mappatura del reale che rende possibili queste tecnologie dovrebbe farci pensare. Per citare (di nuovo) Comitato Invisibile:

Un’azienda che cartografa il pianeta Terra sguinzagliando i suoi team per ogni strada delle città del mondo, non può avere solo mire di carattere commerciale. Si cartografa soltanto ciò di cui ci si vuole impadronire.

Ai nostri amici

L’utilizzo di Maps per ogni spostamento non è solo l’aggiunta di un filtro neutro, ma è un modo per estendere il potere che Google ha sugli spazi digitali negli spazi fisici. Se cerchiamo un ristorante in cui mangiare attraverso una ricerca Google, questo ci verrà indicato sulla base delle opportunità di profitto dell’azienda, o quantomeno nei termini che lei decide – la stessa cosa che avviene con i suoi risultati suggeriti nel motore di ricerca web. Anche in questo caso questo processo di mappatura funziona in larga parte grazie alla nostra partecipazione volontaria: fornendo informazioni sui luoghi fisici e le loro caratteristiche e sui nostri spostamenti (le mappe del traffico) rendiamo il modello di produzione di valore digitale sempre più sovrapponibile agli spazi fisici.

Vie di fuga: uscire dalle mappe, fare le proprie

Con quest’analisi non vogliamo proporre visioni apocalittiche di stati googleiani che ci controllano, ma vogliamo porre l’accento su quello che si perde quando la mappa, “una griglia politica astratta, una gigantesca truffa […] diviene per quasi tutti noi il territorio” (Hakim Bey, TAZ). Come possiamo riprenderci il territorio, ovvero gli spazi intorno a noi e il significato che gli diamo, senza accettare la versione controllata e commercializzata che ci offrono lo stato o il capitale?

Una prima risposta può sembrare ovvia: non usare le mappe. Imparare a fare i nostri spostamenti senza GPS, a conoscere ciò che ci sta intorno, a chiedere informazioni. Non cercare la recensione su Google di un ristorante ma chiedere a chi ci è già andatə; stilare una nostra lista dei negozi che preferiamo e dei loro orari; fare raccolta di biglietti da visita.

Riappropriarci di un territorio infatti non è costruire un rapporto non mediato con esso, ma scegliere come questo rapporto è mediato e chi controlla quella mediazione. Per un approccio più radicale, creare delle zone autonome dal capitale passa anche attraverso il muoversi in quelle “dimensioni frattali invisibili alla cartografia e al controllo” (sempre Hakim Bey) e il crearci degli stili di vita.

Ma poiché siamo smanetton3 e hacker, vogliamo anche imparare a giocare con quegli strumenti di cui vediamo i problemi: prendiamoli in mano, con in testa le nostre idee politiche e le nostre visioni, e vediamo cosa possiamo farci. Dunque facciamo le nostre mappe, e utilizziamole per creare e condividere i nostri territori.

Ecco una breve lista di strumenti e suggestioni:

  • OpenStreetMaps: mappa del mondo costruita tramite un progetto collaborativo e completamente open source, alla base di molti degli strumenti che ti proponiamo in seguito. Ogni fase della produzione delle mappe (dai rilievi all’analisi dei dati) e del controllo della loro attendibilità è fatto da volontari3; tutti i dati sono liberamente riproducibili. Insomma, se il mondo è mappato, almeno che lo sia per tutt3 (ricorda, le mappe Google hanno il copyright). Un modo molto comune di condividere mappe OSM è Leaflet, che permette di creare mappe online interattive.
  • Qwant Maps: una versione di Google Maps, che non traccia i dati dell3 utenti per fini commerciali. Utilizza le mappe di OSM e ha come unica pecca la mancanza di molti luoghi. Nessun problema, puoi partecipare ad aggiungerli!
  • uMap: un sito completamente free che ti permette di creare e condividere (anche embeddandole in un sito) le tue mappe – il tutto ben lontan3 dagli API Google.
  • QGIS: per chi è più power user, QGIS è un programma gratuito e open source che permette di creare mappe anche molto complesse, e più in generale di analizzare dati geografici. Si può anche interfacciare con programmi come uMap o Leaflet per condividere i tuoi dati.

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Così, ad esempio, possiamo creare una mappa che non sia strumento di controllo o valorizzazione, ma di condivisione. Pensiamo ad esempio alla mappa dei negozi zero-waste prodotta dalla rete italiana; oppure, per ricollegarci all’inizio, alle mappe prodotte da gruppi che si oppongono alle politiche di morte dell’Europa, con mappe che denunciano l’aumento dei centri di detenzione, le morti delle persone migranti e le storie di chi, nonostante tutto, ce l’ha fatta.


Libro

Università e militarizzazione // Michele Lancione

376532325 783387980461739 1149737750560230031 nUn breve racconto in presa diretta su come il reparto della difesa sta penetrando sempre di più nelle università italiane, sul perché sta succedendo e su cosa possiamo fare per fermarlo. La denuncia di come la conoscenza viene prestata alla guerra da parte di chi combatte per impedirlo (in particolare di prestarla a Frontex).

 

Crafting

/ˈkrɑːf.tɪŋ/ – noun. The activity of skilfully creating something such as a story. Examples:
  • So much care went into the crafting of the narrative.
  • She saves fabric scraps and old buttons and uses them for crafting.

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