Cose interessanti che si trovano in qesto libro, raccontate per chi ha di meglio da fare che leggerlo
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L’economia morale // Edward P. Thompson

L’economia morale delle classi popolari inglesi nel secolo XVIII: ovvero le rivolte del pane raccontate dall’altro punto di vista, etica e politica.

15/10/2023

L’economia morale delle classi popolari inglesi nel secolo XVIII

Siamo nell’Inghilterra agricola preindustriale, in uno scenario in cui gli interessi di una crescente classe capilista si scontrano, e spesso hanno la meglio, con una morale e un corpo di leggi che riconoscono e tutelano il diritto dei più poveri ad avere accesso ai beni primari. Questa congiuntura è il teatro delle cosiddette rivolte del pane.

La storia per come si studia a scuola, ci restituisce un’idea delle rivolte del pane come episodi inconsueti, brutali ma senza l’intenzione né la forza per modificare gli equilibri. Gruppi di contadini incattiviti dalla fame e a malapena organizzati che, di fronte alla carestia e all’aumento dei prezzi del grano, davano l’assalto ai magazzini, ai mulini e ai forni per appropriarsi di ciò che avrebbe mantenuto in vita loro e le loro famiglie.

Prestando fede a questa narrazione, questo particolare momento della storia dell’economia capitalista, ha tutto sommato poco  da dirci su di noi nel qui e ora. Il motivo per cui questo piccolo libro si trova qui, è che Edward Thompson, grazie ai documenti dell’epoca, racconta una storia molto diversa.

Le rivolte del pane, che sotto ogni punto di vista non sono ascrivibili a una vera dottrina politica, seguono però una precisa strategia, inserendosi in un complesso di rapporti di forze nel quale stanno nascendo proprio in questo momento storico gli attori e i gruppi di interessi che faranno la politica fino ai nostri giorni. Più o meno consapevolmente, una parte dei contadini, ma anche dei minatori di stagno, degli artigiani considerati “poveri”, delle donne ecc., mette in atto autonomamente, organizzata in gruppi locali e senza una guida politica centrale, un insieme di strategie di dissenso, resistenza e azione propositiva, che includono la scrittura di fogli e manifesti, l’intimidazione diretta o indiretta degli speculatori responsabili dell’aumento dei prezzi, la distruzione delle strutture e delle macchine per la produzione (macine, mulini ecc.).

Particolarmente eloquente è l’azione che consiste nel sequestro della merce e la sua vendita sul mercato pubblico a prezzi considerati giusti. E proprio la giustezza dei prezzi imposti apre per Thompson uno spazio di interpretazione diversa sui fatti. Il fine delle rivolte non è placare la fame e la ferocia, ma attraverso azioni violente ristabilire e far rispettare gli stessi principi di moralità che fino ad allora erano stati forti nella società e si trovavano ancora messi nero su bianco nel corpo di leggi a protezione dei poveri. Alle spalle ci sono un’idea religiosa di carità e un paternalismo che oggi difficilmente considereremmo accettabili, e che tuttavia erano valori centrali tanto nella cultura di coloro che facevano le leggi quanto di coloro che attraverso quelle leggi venivano riconosciut3 e tutelat3.

Sarebbe semplicistico ridurre al materialismo quella che Thompson chiama l’economia morale dei contadini. La tutela dei poveri è un valore giusto, ed è questa convinzione, che si va gradualmente de-naturalizzando con l’avanzare del capitalismo, a guidare le rivolte. Esse non sono, come potrebbe sembrare il rogo di un magazzino, dei gesti antisociali, ma al contrario si pongono a difesa dei valori tradizionali della società, e si rappresentano l’altra parte del conflitto, i produttori-speculatori, come antisociali che prepongono il lucro alla giustizia e l’esportazione di beni primari per guadagno alla vita della loro comunità. L’obiettivo dei contadini non è la rivoluzione ma il ritorno al rispetto di una morale profonda, tanto che la strategia dei “giusti prezzi” termina con la riconsegna del guadagno ai proprietari del grano sequestrato come una sorta di pacificazione sociale.

In questa economia morale, sottolinea Thompson, perfino la distruzione dei magazzini e del grano è più giustificata del furto – una considerazione del tutto insensata se ci ostiniamo a pensare ai contadini come quelle bestie denutrite di classe inferiore e poco intelletto che la storia racconta. E d’altronde la storia così come la conosciamo è passata dalle penne e degli occhi di chi allora pensava i contadini come degli zotici affamati e immorali, gente che nel migliore dei casi andava protetta dalla fame, di certo non attori di una rivendicazione politica (etica ed economica) nella società cui partecipavano.

Come e in che misura le rivolte del pane abbiano raggiunto i loro obiettivi è uno dei temi cui Thompson dedica più spazio. Nell’immediato la paura delle rivolte ha funzionato in alcuni casi da deterrente rispetto alla speculazione sui prezzi del pane, e ha contribuito a radicare un proto-interesse di classe, sia da parte dei contadini che da parte degli speculatori.

Pensando alle sue conseguenze più ampie però, di certo non è riuscita a modificare i rapporti di potere in direzione di una nuova tutela della povertà che andasse al di là del desiderio di disciplinare i poveri e opponesse un serio limite agli interessi capitalistici.

Riscoprire adesso questa storia, leggere le canzoni satiriche, le minacce e i proclami volgari che ha generato, è per noi un modo di dire che ciò che è successo non era inevitabile. E se è bello scoprire che tutto questo è esistito, è doveroso prendere atto che, nel bene o nel male, è fallito. Siamo qui anche perché nel XVIII secolo non si è potuta impedire l’esportazione di beni primari in paesi in cui potevano essere venduti a prezzi più alti. Il resto è storia del capitalismo.

 

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