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Louise Michel e gli animali // Troglodita Tribe

Una storia di resistenza oltre la specie

18/07/2025
Troglodita Tribe

Viviamo in tempi tossici. I sistemi di dominio – capitalismo, patriarcato, colonialismo, razzismo, omotransfobia e specismo – si aggiornano, si mascherano, si espandono ovunque. In mezzo a questa cappa opprimente, riscoprire figure che hanno osato pensare la resistenza e la rivolta come un processo interconnesso è indispensabile, vitale. Louise Michel è una di queste figure: anarchica, comunarda, educatrice, transfemminista ante litteram e, fatto sorprendente per la sua epoca, una pioniera nella denuncia dell’oppressione animale come parte della lotta rivoluzionaria.

Il libro Louise Michel e gli animali. Tra anarchismo e antispecismo, edito dalla casa editrice indipendente Cronache Ribelli nella collana antispecista Zanne, vuole mettere in risalto proprio questi aspetti. Non si tratta di una biografia in senso classico, ma nemmeno di un elogio zuccheroso dell’amore per gli animali non umani. È più un pugno sul tavolo dell’indifferenza e della rassegnazione, un atto politico, un ritorno al cuore selvatico del pensiero radicale.

Una rivoluzionaria fuori da ogni gabbia

Louise Michel non appartiene solo ai libri di storia, perché la sua storia è patrimonio dei movimenti che oggi ancora incendiano le piazze.
Durante le sue lotte rifiuta di giurare fedeltà all’imperatore Napoleone III, rinuncia alla grazia se non verrà concessa l’amnistia a tuttɜ[1], fonda in totale autonomia diverse scuole tra i diseredati di Parigi, sperimenta le classi miste e le mense popolari, rivendica l’istruzione egualitaria e gratuita, sostiene le prostitute, rifiuta il matrimonio, promuove la contraccezione e mette in atto numerose attività autogestite dal basso.

Conosciuta soprattutto per la sua partecipazione alla Comune di Parigi, Louise è anche tra le prime a denunciare la vivisezione, la corrida e la violenza sistemica contro gli animali. Ma il suo pensiero non è  ingenuo o moralista. Lucidissimo e pericolosamente attuale,  sostiene che la domesticazione degli animali non è un processo naturale, ma il primo laboratorio del dominio, il prototipo della sottomissione di classe, di genere, di razza e di specie.

Il cuore dell’animale è come il cuore umano, il suo cervello è capace di sentire e di capire.

Louise afferma che chi accetta le gabbie per qualcunə, finisce fatalmente per costruirle anche per altrɜ. La sua voce, ancora oggi, parla la stessa lingua di chi lotta contro i confini, le galere, i mattatoi, le frontiere, i CPR. E lo fa senza compromessi.

Contro la gerarchia delle lotte

1871. Parigi è sotto le cannonate e le barricate della Comune resistono tra fumo, fame e piombo. In mezzo al caos, Louise Michel si lancia tra le macerie per salvare un gatto. Un gesto considerato inutile e ridicolo anche dai suoi stessi compagni, che le rinfacciano che “non è il momento”. Ma lei li fulminerà pubblicamente affermando con vigore che:

Salvare un gatto e combattere per il popolo fanno parte della stessa lotta.

Questa scena non è folkloristica o sentimentalista, perché si configura come un vero e proprio atto di sabotaggio contro la gerarchia delle lotte, quella trappola ideologica che stabilisce chi merita empatia e chi no, chi è sacrificabile e chi è degno di salvezza. Louise Michel, con quel gesto, anticipa di oltre un secolo la necessità di connettere le lotte, di riconoscere le intersezioni reali tra ogni forma di oppressione, anticipando di più di un secolo la formalizzazione del concetto di intersezionalità[2].

Louise Michel sente questa necessità sulla propria pelle e in prima linea, superando la suddivisione in compartimenti stagni, riconoscendo la necessità di una liberazione totale.

La sua compassione è quindi una lucida strategia rivoluzionaria, il riconoscimento che nessuna giustizia è possibile se si fonda sulla cancellazione dell’altrɜ, umanɜ o non umanɜ. Louise Michel capisce, con rabbia e tenerezza, che lottare per un mondo senza prigioni, senza imperi e senza padroni significa anche rifiutare le gabbie in cui rinchiudiamo gli animali, umani e non.

Resistenza oltre la specie

Louise Michel lotta al fianco delle prostitute, prigionierɜ, indigenɜ, bambinɜ, ma anche degli animali non umani, che riconosce come individui che si ribellano. È consapevole della resistenza animale, ovvero della loro volontà di resistere ai soprusi e, in molti casi, di ribellarsi ed evadere dai luoghi di prigionia., qualcosa di poco comune anche tra chi lotta per la liberazione animale.

In genere, infatti, si descrivono gli animali non umani come creature innocenti da salvare. Chi si batte per loro pretende di essere la voce dei senza voce, dimenticando che, ovviamente, ogni animale ha la sua voce, una voce molto forte e chiara[3] anche nel manifestare il dissenso rispetto alle pratiche di violenza e dominio continuamente imposte. Louise Michel, nonostante sia nata e cresciuta nel contesto contadino moderno, nel quale la sottomissione dell’animale non umano è considerata basilare e scontata, riconosce questa ribellione e questa resistenza. Comprende anche, prima delle mobilitazioni antispeciste[4], che la lotta deve abbattere tutte le frontiere dell’alterità e, se vuole essere davvero liberatrice, deve avere il coraggio di disertare anche il concetto di specie.

Louise Michel è ancora viva. Anche in mare

Una nave battezzata Louise Michel solca oggi il Mediterraneo per salvare vite migranti, fuori da ogni logica statale o umanitaria. A bordo si seguono principi radicalmente egualitari: non esistono gerarchie e l’impegno politico si riflette in ogni pratica, comprese le scelte alimentari, adottando una dieta vegana. Una nave anarchica, antifascista, antirazzista e anche antispecista.

Una nave rosa shocking, finanziata da Banksy, che rifiuta la neutralità. Come la sua omonima, anche questa Louise Michel rompe le rotte, disobbedisce, raccoglie corpi, sogni e rabbia. C’è quindi una linea rossa e nera che unisce la Louise Michel delle barricate a quella che solca il mare. Entrambe sfidano il mondo dei confini. Entrambe dicono: nessun essere vivente è illegale.

Leggi anche: La Comune di Louise Michel


Note di Collettivo Contesto

[1] Per aver partecipato alla Comune di Parigi, a «Fine agosto 1873, [Louise] viene imbarcata a bordo del Virginie con un gruppo di 150 compagni, fra cui 22 donne, destinazione la Nuova Caledonia [… V]iene graziata nell’ottobre del 1879, ma, fedele ai suoi principi, rifiuta di partire senza gli altri. Finalmente, l’11 luglio 1880 viene promulgata l’amnistia totale dei condannati e il 9 novembre 1880 Louise Michel, accompagnata da cinque gatti da cui non ha voluto separarsi, è accolta trionfalmente alla stazione di Saint-Lazare da migliaia di persone.» Fernanda Mazzoli, Louise Michel, una vita per la rivoluzione

[2] Nel 1989 la giurista e attivista afroamericana Kimberlé Crenshaw conia il termine intersezionalità per descrivere come le oppressioni, di razza, genere, classe, si sovrappongano e si alimentino a vicenda.

[3] Collettivo Contesto: la resistenza dellɜ animali non umanɜ ha per noi una componente necessariamente politica, che deriva dal riconoscere che, per il fatto stesso che avviene, essa ci chiede di esserne alleatɜ o indifferentɜ. Non pensiamo però di poter capire con sicurezza cosa ci dicano lɜ animali non umanɜ con la loro resistenza. Mantenere questo dubbio non significa per noi mettere in discussione la possibilità di un dialogo interspecie, ma affermare che dobbiamo impegnarci nella creazione di nuove forme di organizzazione sociale e materiale in cui questa possibilità possa esprimersi.

[4] Peter Singer popolarizza il termine antispecismo in Liberazione animale nel 1975. A questo testo si rifà poi l’Animal Liberation Front, attivo dal 1976.

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